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Capitolo IV: La caduta dei Socialisti e l'avvento del Fascismo

Ultima modifica 5 aprile 2019

4.1 La sezione del P.N.F. di Erba

La sezione del fascio di Erba fu una delle prime a nascere nella provincia lariana dopo quelle di Como e di Cantù. Secondo le cronache dei periodici locali sarebbe stata inaugurata nell’ultima settimana di aprile del 1921 grazie all’iniziativa del capitano Alessandro Tarabini e del sottotenente Piero Frigerio (le nomine ottenute sotto le armi durante la Grande Guerra erano motivo di orgoglio per gli ex combattenti e venivano mantenute anche dopo il servizio militare). In realtà i due avevano costituito un primo nucleo fascista già nella prima metà del 1920, quando ancora il movimento era nelle sue fasi iniziali. Alla cellula, che contava una dozzina di elementi, fu dato il nome di Temeritas e rimase segreta fino alla creazione della sezione. Quando all’indomani della vittoria dei socialisti nelle elezioni amministrative dell’ottobre del ’20 il partito popolare organizzò una manifestazione per commemorare il quattro novembre (data della vittoria italiana nel conflitto mondiale), un articolo de “Il Lavoratore Comasco” riportava la notizia che “alcuni individui in camicia nera” erano usciti dal corteo ed avevano cercato di apporre la bandiera tricolore sul balcone del palazzo municipale dopo che il Giussani ne aveva negato l’esposizione perché “contraria ai suoi principi” . Il Frigerio ammetterà più tardi che il gesto era stato compiuto dai suoi uomini e che quella era stata la prima “missione” della Temeritas. Nell’aprile del 1921 i fascisti uscirono allo scoperto ed iniziarono la costruzione di quella che sarà una delle sezioni più organizzate ed efficienti di tutta la provincia. Questo la composizione iniziale del direttorio:

Presidente: Alessandro Tarabini
Segretario Politico: Piero Frigerio
Membri effettivi: Giuseppe Bianchi, Arturo Carcano, Giuseppe Corti, Dante Cattaneo
Segretario amm.vo Carlo Jorati
Cassiere Angelo Mauri

Utilizzando lo stesso metodo adottato dai socialisti con “Il Lavoratore Comasco” il Frigerio riuscì ad essere nominato corrispondente per il mandamento di Erba de “Il Gagliardetto”, settimanale ufficiale dei Fasci di Combattimento della provincia di Como uscito per la prima volta il 17 aprile 1921. In questo modo la sezione aveva la possibilità di far conoscere ai cittadini i programmi e le iniziative che venivano stabiliti durante le riunioni settimanali nella sede di via Vittorio Emanuele. Attraverso lo spazio riservato alla cronaca di Erba i fascisti intrapresero la loro azione di propaganda mirata inizialmente a screditare l’amministrazione socialista che guidava il municipio. Il primo articolo apparso su “Il Gagliardetto”, curato dal segretario politico del fascio, stabiliva le linee generali dell’opera “immediata” che la sezione erbese si proponeva di condurre :

…noi abbiamo il compito di lottare per la difesa dell’ultima guerra nazionale, la valorizzazione della vittoria, la resistenza e l’opposizione alle degenerazioni teoriche e pratiche del socialismo politicante. Si noti, non opposizione al socialismo in sé per sé, dottrina e movimento discutibili, ma opposizione alle sue degenerazioni teoriche e pratiche, che si riassumono nella parola: bolscevismo. I fasci manifestano la loro simpatia ed il proposito di aiutare ogni iniziativa di quei gruppi di minoranza del proletariato che sanno armonizzare la difesa della classe con l’interesse della nazione. E nei riguardi della tattica sindacale consigliamo il proletariato di servirsi, senza predilezioni particolari e senza esclusivismi aprioristici, di tutte le forme di lotta e di conquista che assicurano lo sviluppo della collettività ed il benessere dei singoli produttori…


Il mese successivo venne pubblicata la lettera con la quale il direttorio della sezione chiedeva espressamente al prefetto di Como che il sindaco Giussani fosse sospeso dal suo ufficio non avendo esposta la bandiera nazionale sul palazzo municipale nel giorno della ricorrenza dello statuto. Si ricordava inoltre alla prefettura che lo stesso maresciallo della stazione dei carabinieri di Erba era stato informato dell’accaduto ed aveva manifestato la sua solidarietà nei confronti dell’iniziativa fascista . Articoli come questo apparvero sempre più di frequente all’interno del periodico fascista e con l’avanzare del movimento in tutta la provincia si riempirono ben presto di minacce e intimidazioni. Nel numero de “Il Gagliardetto” del 27 agosto così scriveva un anonimo rivolto ai socialisti erbesi dopo il solito attacco all’operato dell’amministrazione:

…non ce l’abbiamo con gli operai iscritti nelle vostre leghe rosse, sfruttati a loro insaputa e derubati dai sindacalisti ammaliatori, ma con quei bolscevichi che girano spavaldi per la città, la cui incolumità fisica si deve esclusivamente alla disciplina di cui sono dotati i fascisti che rispettano le disposizioni severe emanate dal direttorio, ma non v’azzardate a provocare…

Fortunatamente alle parole non seguirono i fatti. Il Fascio di Erba era di fatto strutturato secondo una gerarchia ben delineata e le azioni di intimidazione venivano decise esclusivamente dal direttorio. Le insubordinazioni venivano pagate con l’espulsione dalla sezione e denunciate attraverso le pagine de “Il Gagliardetto”. Probabilmente la severa disciplina creata all’interno dell’organizzazione costituì un deterrente nei confronti degli animi più agitati e questo impedì che episodi di rivalsa e vendetta personale si verificassero di frequente. Non mancarono risse e manganellate nei confronti dei rivali socialisti e comunisti ma ad Erba non si respirò mai quel clima di terrore che vissero molti comuni lariani durante l’ascesa del movimento fascista. La sezione del fascio si limitò ad organizzare manifestazioni di protesta nei confronti degli amministratori e proprio contro questi ultimi intraprese l’azione più energica dalla data della sua nascita, azione che raggiunse l’obiettivo delle dimissioni dei socialisti.

4.2 Le dimissioni in blocco dell’amministrazione “rossa”

Nel corso del 1922 i fascisti lanciarono l’ultima grande offensiva nei confronti di tutto il movimento socialista che aveva monopolizzato la vita politica della provincia di Como negli ultimi due anni. Si intensificarono le violenze e le azioni di rappresaglia, con la tolleranza delle forze di polizia, che invece si accaniva contro le organizzazioni democratiche. All’indomani della concessione del governo a Mussolini le camicie nere avevano occupato tutti gli edifici pubblici di Como senza incontrare alcuna resistenza e le istituzioni provinciali avevano ormai perso ogni potere . Anche la prefettura, dopo l’arrivo del nuovo prefetto, si era a quel punto compromessa con il movimento fascista e di conseguenza altrettanto era accaduto per le forze dell’ordine. Nella seduta del consiglio comunale del 30 dicembre il sindaco socialista di Como Paolo Nulli aveva rassegnato le dimissioni, e con lui l’intera giunta . Alla seduta aveva partecipato un folto pubblico, per lo più composto da fascisti, che chiedeva a gran voce le dimissioni dell’intera amministrazione. Il mese successivo stessa sorte toccò alla deputazione provinciale a maggioranza socialista esasperata dalle minacce e dalle intimidazioni degli squadristi. Nel gennaio del 1923 si susseguirono le destituzioni di tutte le amministrazioni comunali socialiste della provincia. La giunta Giussani fu una delle ultime ad abbandonare il palazzo municipale. L’inchiesta ordinata dal nuovo prefetto svoltasi durante il periodo natalizio, dopo le segnalazioni del fascio locale, non aveva prodotto alcun risultato e nessuna irregolarità dava alla prefettura il pretesto per cacciare gli amministratori. All’ispezione seguì quindi l’affronto per la compagine socialista cui vennero recapitate le spese sostenute dal commissario per il lavoro svolto negli uffici comunali di Erba. L’amministrazione infatti non dovette solamente subire l’onta di una minuziosa perquisizione dei documenti relativi al suo operato, ma fu costretta a anche a pagarne le spese. Il 20 gennaio al Giussani pervenne la seguente raccomandata :

R. Prefettura di Como Addì 20 gennaio 1923

OGGETTO
Inchiesta-Indennità del
Commissario Prefettizio
Sig. Sindaco di Erba
Con preghiera di disporre pel pagamento, trasmetto a V.S. l’unita specifica delle indennità spettanti a questo consigliere Avv. Cav. Vittorio Ceccato per la missione compiuta nei giorni 22 dicembre 1922 e 3 e 4 gennaio corrente, e ammontante a lire 173,70.

Il Prefetto

Nonostante l’affronto e l’ennesima dimostrazione che non era più possibile fare affidamento sull’imparzialità delle istituzioni, l’amministrazione di Erba rimase al suo posto. Fu allora che il fascio locale decise di intervenire direttamente per costringere i socialisti ad abbandonare il comune . Il 25 gennaio con una missiva recapitata al sindaco i fascisti di Erba ordinavano la consegna entro le ventiquattro ore successive di tutti i vessilli e le bandiere rosse conservate alla Casa del Popolo, ritenendo lo stesso Giussani responsabile qualora l’ordine non fosse stato rispettato. Il primo cittadino informò gli altri segretari della sezione socialista e il maresciallo dei carabinieri dell’accaduto, poi fece pervenire al fascio una lettera con la quale rispondeva che tutto il materiale di propaganda era stato distrutto o asportato durante l’incursione fascista dell’anno precedente. La risposta fece infuriare i dirigenti fascisti che, raccolti una trentina di camice nere, si diressero direttamente in municipio. Il Giussani fu costretto a ricevere una delegazione del gruppo la quale gli intimò di rilasciare una dichiarazione scritta in cui garantisse l’inesistenza di bandiere rosse all’interno delle sedi delle organizzazioni socialiste. Il sindaco messo alle strette rispose che non avrebbe potuto farsi carico di tale responsabilità “non potendo dare garanzie per l’avvenire”. Solo l’intervento dei carabinieri riuscì a calmare gli animi dei fascisti di fronte ai tentennamenti del sindaco, e alla fine il maresciallo lo convinse a compilare un verbale in cui dichiarava che per quell’unico giorno sarebbe stato responsabile di eventuali ritrovamenti di materiale di propaganda socialista nella sede della Casa del Popolo. Le camicie nere lasciarono quindi il municipio e perquisirono i locali della cooperativa, uscendone solamente dopo alcune ore con un unico quadro raffigurante il Nazzareno. La motivazione di quel sequestro riassume emblematicamente la situazione paradossale che si era venuta a creare: il Cristo in quel dipinto indossava un abito rosso. Successivamente vennero passate al setaccio le abitazioni dei segretari delle leghe di mestiere e di alcuni collaboratori del sindaco, asportando qualunque oggetto richiamasse l’ideologia socialista. In serata i fascisti marciarono per le vie della città esibendo il magro bottino all’inno di “Giovinezza”. La “missione” era conclusa. Il giorno seguente il Giussani convocò la maggioranza consiliare in municipio per discutere dell’accaduto. Quello che era successo superava i limiti di sopportazione anche dei più convinti. I fascisti erano entrati nelle case, avevano minacciato e insultato, avevano spaventato le famiglie e sequestrato beni personali, ma, ciò che più faceva temere per il futuro, era il fatto che nessuno si era mosso per fermarli. I carabinieri si erano limitati a calmare gli animi davanti al palazzo municipale assediato dalle camicie nere, poi si erano ritirati lasciando che agissero indisturbate. Il 29 gennaio l’amministrazione presentò al prefetto le proprie dimissioni in blocco, il giorno successivo la prefettura affidò la guida del comune al commissario Ceccato :

N° 6850/I Como, 30 gennaio 1923
IL PREFETTO
Della Provincia di Como

Vista la nota 29 gennaio 1923 colla quale il Sindaco e 13 dei 20 consiglieri del comune di Erba-Incino rassegnano le dimissioni dalla carica rispettivamente coperta, attesa la necessità di provvedere per il funzionamento dell’amministrazione,
Visto l’articolo 3 della legge comunale e provinciale,

DECRETA

E’ preso atto delle dimissioni dalla carica di consigliere del comune di Erba-Incino volontariamente presentate dai signori:
1 Giussani Giuseppe 2 Civati Angelo
3 Malinverno Biagio 4 Chiesa Mario
5 Testori Alessandro 6 Ratti Carlo
7 Pontiggia Antonio 8 Nava Zaverio
9 Rigamonti Carlo 10 Mauri Achille
11 Tosetti Giuseppe 12 Ghidotti Celestino
13 Testori Pietro 14 Chiesa Gaetano
Il Cav. Dottor Ceccato Vittorio consigliere di prefettura è incaricato in qualità di commissario prefettizio della provvisoria amministrazione del comune di Erba-Incino. Al medesimo verrà corrisposta la diaria di Lit. 30 gravata delle tasse di R.M. oltre al rimborso delle spese di viaggio per ogni giorno di sua permanenza nel comune.


4.3 La situazione della provincia di Como all’indomani dell’offensiva fascista

Durante i primi mesi del 1923 i fascisti ottennero il controllo di tutte le istituzioni pubbliche provinciali e comunali, stravolgendo l’equilibrio politico che aveva portato i socialisti alla guida del territorio lariano. Il consiglio provinciale dimissionario fu retto inizialmente da un triunvirato di avvocati nominati dalla prefettura, poi l’organo venne rimpiazzato dal “Consiglio Provinciale Fascista”, guidato e costituito interamente da elementi vicini al regime. I comuni un tempo retti da amministrazioni socialiste vennero assegnati a commissari prefettizi che ne ressero le sorti fino alla nomina dei podestà nel giugno del 1926. Tutte le organizzazioni che orbitavano intorno al P.S.I. dovettero chiudere i battenti, così cessarono la loro attività la Lega dei Comuni Socialisti, le case del popolo ed i circoli ricreativi degli operai. Solo le camere del lavoro resistettero all’onda d’urto del movimento fascista, e con esse le leghe di mestiere sparse in tutta la provincia. L’organizzazione delle camicie nere tuttavia stentava a decollare. I fascisti avevano di fatto raggiunto l’obbiettivo di possedere il controllo politico e amministrativo dell’intera provincia, ma non l’approvazione della maggioranza della popolazione. Al 31 dicembre del 1922 il movimento contava 24 sezioni, 2730 aderenti e solo 2025 iscritti al partito . Eppure la stampa comasca guardava al fascismo con sempre maggior simpatia e lo giudicava come l’unica forza in grado di contrastare il socialismo. “La Provincia”, l’unico quotidiano che usciva regolarmente tutti i giorni dell’anno, si era schierata su posizioni filofasciste già dall’aprile del 21, diventando l’organo ufficiale del partito nel corso dell’anno successivo. “Il Gagliardetto”, ( confluito ne “La Provincia” nel 1927), si era imposto per la sua intransigenza verso tutto ciò che non era conforme all’ideologia del Duce e nel 1923 si arricchì di nuove pagine intensificando la pubblicazione. Anche il moderato “Il Corriere delle Prealpi” si era spostato verso posizioni più favorevoli al partito fascista abbandonando quell’obiettività che lo aveva sempre contraddistinto dalle altre testate. I giornali dell’opposizione versavano al contrario in condizioni precarie. Il popolare “L’ordine” e il socialista “Il Lavoratore Comasco” stentavano a trovare i fondi per la pubblicazione e dovettero più volte cambiare tipografia a causa dell’annullamento forzato dei contratti. Per recuperare terreno ed incrementare la diffusione del fascismo tra la popolazione le violenze dello squadrismo proseguirono anche dopo la formazione del governo Mussolini, colpendo soprattutto gli ultimi residui della associazioni socialiste e comuniste, senza però trascurare i cattolici, in particolare l’associazionismo giovanile. Eppure il fascismo faceva fatica a penetrare in modo capillare tra i cittadini lariani. Ne dà un’autorevole testimonianza una relazione prefettizia inviata a Mussolini l’11 agosto del 1923 in cui il prefetto attestava la sconfitta del movimento socialista ma allo stesso tempo sottolineava i timori per la crescita di un ritrovato partito popolare:

RISERVATISSIMA

COMO, 11 AGOSTO 1923

OGGETTO: Situazione politica della Provincia

A.S.E. Il Presidente del Consiglio dei ministri
Ministro dell’Interno
Roma

Mi pregio riferire brevemente a V.E. il risultato degli accertamenti da me personalmente fatti e condotti con la maggior possibile diligenza e obiettività sulla situazione politica generale della Provincia.
Qui dominava, fino allo scorso anno incontrastato, il partito socialista, del quale conviene però dire, per la verità, che, pur affermando e sostenendo vigorosamente le proprie posizioni, non era sceso alle intemperanze e agli eccessi di tanti altri luoghi d’Italia. Esso dominava nel Consiglio provinciale, nei comuni di Como e di Varese e in altri moltissimi della provincia (complessivamente in 179). Facendo conto della popolazione totale di tali comuni, risultava essere il partito stesso in notevole preponderanza nella provincia. Veniva in seguito il partito popolare, con forti posizioni in molta parte del circondario di Lecco, in parte della Brianza e nella parte alta del Circondario di Como, appoggiato ai parroci e a numerose cooperative ed istituti di assistenza, sorretto da fruttuosa propaganda ed in continuo progresso. Esso occupava 113 Comuni rurali con amministrazioni proprie .Nel resto dei comuni le amministrazioni erano tenute o dal blocco dei partiti costituzionali (con prevalenza clericali, in genere) in 112 Comuni o dai residui dei vecchi partiti di ordine, decorati coi vari nomi di democratici ( 20 Comuni), costituzionali (5). Il partito dei combattenti aveva conquistato 5 comuni.
Con l’avvento del Governo Nazionale le principali posizioni del partito socialista crollarono: e segnatamente, il consiglio Provinciale ed i Consigli comunali di Como e di Varese, nonché quelli di molti altri Comuni. Rimasero però in condizioni più o meno buone di funzionalità i principali organi di propaganda e sindacati del partito, a cominciare dalla Camera del Lavoro. Taluni capi fuggirono all’estero o si chiusero in un prudente atteggiamento. Le masse degli aderenti in parte si disgregarono, e si squagliarono, ma parte notevole è rimasta fedele al partito, pure astenendosi da manifestazioni esteriori.
Il partito popolare nulla perdette, qui, dalla vittoria Fascista, anzi se ne avvantaggiò e di non poco, perché pronto ad approfittare degli avvenimenti e nella inerzia altrui, riuscì ad attrarre a sé la maggior parte degli sbandati del partito rosso ed a incorporarli. Degli latri partiti democratici, liberali etc. non mette gran conto di parlare, scissi già prima in mille frazioni, facenti capo ad altrettante persone e rivalità personali, erano e rimasero degli impotenti, salvo qualche posizione personale qua e là, abbastanza forte. Del resto, oltre che delle tante scissioni, conviene tener conto delle non meno compromissioni con rossi e neri subite, o ancora ricercate per amore di quieto vivre, o per altri sottili calcoli di politica locale.
La popolazione della provincia è in genere apatica ed indifferente; subisce e segue in sostanza più che agire per proprio impulso; nelle zone industriali essa era tratta naturalmente a seguire i rossi, mentre nelle zone montane tutte di piccoli coltivatori e proprietari, dominano in genere i parroci e quindi il partito popolare. Il partito fascista, male organizzato inizialmente, non ha saputo o potuto profittare della vittoria del Governo Nazionale e dell’ondata di entusiasmo che ne susseguì. I sistemi finora da essi seguiti si sono, alla prova, rivelati inefficaci in genere talora anzi negativi, per cui converrà cambiar rotta e adottare metodi più efficaci, meno clamorosi, se si vuole, ma più pratici e meglio consoni all’indole delle popolazioni; sia per penetrare, sia per attrarre gli elementi migliori e più autorevoli, la cui mancanza è gravemente sentita. La situazione di oggi, obbiettivamente considerata, è la seguente: il partito popolare ha indubbiamente la preponderanza nella Provincia, nel momento attuale, preponderanza per numero di aderenti, per organizzazione, appoggiata su numerose sezioni locali e sui parroci, per istituzioni di assistenza economica. La propaganda da esso effettuata si svolge, in gran parte, in modo subdolo e sottomano, ma non perciò è meno efficace. Il partito conta altresì più di un elemento battagliero, dispone di un giornale quotidiano a Como, e di parecchi settimanali. Ha per segretario provinciale il Sacerdote Don Primo Moiana , intelligente, audace, falso, settario, intransigente; è la viva anima del partito, che egli ha sempre cercato, non senza risultato, di spingere verso le tendenze di sinistra, affrontando anche e superando le resistenze dei Deputati locali del partito stesso. L’ultimo manifesto del Gran Consiglio Fascista ha dato occasione a Don Moiana, che probabilmente non desiderava di meglio, di accentuare le sue tendenze Miglioriste, prendendo al tempo stesso l’atteggiamento del perseguitato. Il partito popolare, come accennai più sopra, ha approfittato abilmente e rapidamente dello sbandamento avvenuto nel partito socialista, nello scorso inverno, per attrarre a sé il maggior numero possibile di sbandati, e vi è anche riuscito in gran parte, soprattutto nelle classi rurali. Ciò ha accresciuto la combattività e lo spirito aggressivo, per quanto esteriormente larvato, dei dirigenti del partito e ne sono prova il moltiplicarsi delle manifestazioni religiose. (…)

Il Prefetto

4.4 Il commissario prefettizio ed i fascisti alla guida di Erba

All’indomani delle dimissioni presentate dall’amministrazione socialista la sezione del fascio di Erba festeggiò l’avvenimento con una grande riunione nella sede di via Vittorio Emanuele. Il segretario politico Frigerio, che dopo il passaggio del Tarabini nelle file della sezione comasca rimaneva di fatto il capo supremo delle camice nere erbesi, annunciò che da quel momento il destino della città sarebbe stato indissolubilmente legato a quello del fascio, per cui era venuto il tempo di rimboccarsi le maniche e “riparare con volontà fascista i danni causati dai bolscevichi” . Frigerio aggiunse che il suo direttorio avrebbe potuto in qualunque momento accelerare la fuga dei socialisti dal municipio, ma si era preferito temporeggiare per evitare che gli stessi potessero in seguito ricoprirsi di gloria “quali martiri dell’idea marxista”. A questo proposito rimarcò il comportamento “impeccabile” dei suoi squadristi che avevano seguito alla lettera le direttive della sezione senza mai lasciarsi andare ad atti violenti di propria iniziativa: tutte le intimidazioni erano state effettuate secondo i piani studiati dal direttorio. La prima iniziativa intrapresa dal fascio fu la lettera di accoglienza con la quale la sezione salutò il commissario prefettizio Ceccato divenuto per volere della prefettura rettore provvisorio del municipio di Erba .

PARTITO NAZIONALE FASCISTA
Sezione di Erba-Incino

Erba-Incino, lì 6 febbraio 1923

Egr. Sig. Commissario
Del Comune di Erba-Incino
Compio il dovere di darle il benvenuto a nome del Fascio di Erba-Incino. Questo direttorio è a sua completa disposizione in ciò che può tornare a beneficio del Comune.
Colla massima osservanza
Il Segretario Politico
Piero Frigerio

Il commissario prefettizio aveva assunto le sue funzioni quale amministratore unico del comune di Erba il 5 febbraio 1923. Per presentarsi alla popolazione aveva fatto affiggere sui muri della città decine di volantini con le seguenti parole :
Cittadini,
ho l’onore di assumere oggi le funzioni di commissario prefettizio del Comune. Rivolgo ai cittadini tutti di questa bella, industre, patriottica borgata il mio più deferente saluto.
Vi sarò grato, cittadini, se nella esplicazione del mio mandato potrò avere, come mi auguro, il vostro appoggio e la vostra collaborazione.
Dalla residenza municipale, addì 5 febbraio 1923
Il commissario prefettizio
Vittorio Ceccato

Nonostante fosse solito a spostamenti improvvisi (il primo compito di un commissario prefettizio era quello di ricoprire temporaneamente i più svariati ruoli all’interno dell’amministrazione provinciale), il Ceccato si trovava per la prima volta nella sua carriera a reggere le sorti di una città per un periodo che poteva protrarsi molto al di là delle sue stesse previsioni. Egli aveva già messo piede nel palazzo municipale di Erba, essendo stato l’incaricato per l’ispezione voluta dal prefetto sull’operato dell’amministrazione socialista. Per questo motivo era a conoscenza delle ultime vicissitudini che avevano caratterizzato la vita comunale e del ruolo avuto dal fascio nelle dimissioni della giunta Giussani. Non v’è dunque da meravigliarsi se fin dall’inizio del suo mandato accettò di buon grado la collaborazione che i fascisti gli offrivano. Del resto la situazione del municipio non era delle più rosee. I socialisti, il cui programma era stato troncato a metà, avevano consegnato al Ceccato un comune il cui disavanzo al 31 dicembre del 1922 ammontava a Lit. 46.063, un’enormità. Coadiuvato dal direttorio fascista il commissario iniziò i lavori per ridimensionare lo spaventoso deficit delle casse comunali, finendo per assecondare ogni volontà delle camice nere. Delle forze democratiche restava ben poco, il fascio aveva campo aperto. I socialisti si ritirarono dalla scena politica scomparendo nell’anonimato. Anche il partito popolare, che altrove dava segnali di forte ripresa, nella città di Erba abbandonò ogni attività e seguendone l’esempio anche i liberali chiusero la propria sezione. Con la supervisione del segretario politico del fascio il Ceccato presentò il bilancio preventivo per il 1923 il 23 marzo . Il nuovo piano finanziario prevedeva un taglio netto alle uscite nel campo dell’assistenza scolastica e sanitaria. Alla prima fu dedicato uno stanziamento di Lit. 4000 direttamente versato al patronato scolastico, alla seconda una somma di pari entità da dividersi tra lo stipendio del medico condotto e la somministrazione gratuita dei medicinali ai poveri. L’elenco dei beneficiari dei servizi assistenziali fu ridotto a 121 persone (con la giunta Giussani aveva toccato le 2000 unità) e vennero eliminati tutti i fondi ad organizzazioni esterne, inclusa naturalmente la locale Camera del Lavoro. Si decise di riprendere il pagamento delle spedalità all’Ospedale Maggiore di Milano e di destituire l’ufficio tecnico per la gestione dell’acquedotto voluto dai socialisti. Sempre su consiglio del Frigerio venne risolto il contenzioso tra il comune e i proprietari delle due farmacie di Erba, cui fu ridotta l’aliquota per le rispettive attività, rientranti nella categoria “ditte di speciale importanza”. La grande novità presente nel bilancio fu rappresentata tuttavia da un fondo dedicato allo studio per la costruzione di un monumento ai caduti degno della città. La proposta era già stata presentata alla giunta Giussani dalla sezione locale dell’Associazione Nazionale Combattenti nel 1921 , ma il sindaco aveva dichiarato che l’iniziativa contrastava con il programma elettorale e che comunque la lapide fatta posare nel nuovo cimitero ricordava più che degnamente i martiri di guerra. Il monumento ai caduti, peraltro presente nella maggior parte dei comuni comaschi, divenne presto motivo di contrasto tra la cittadinanza e l’amministrazione ed i fascisti ne promisero la realizzazione non appena avessero conquistato il potere. Grazie alla remissiva disponibilità del commissario prefettizio la promessa poteva essere mantenuta. Il bilancio preventivo compilato dal Ceccato venne prontamente approvato dalla prefettura di Como e la nuova politica finanziaria adottata dal comune entrò in vigore nella seconda metà del 1923. In un solo mese erano stati cancellati due anni di amministrazione socialista.

4.4.1 La conquista definitiva della città

Con l’approvazione del bilancio preventivo per il 1923 i fascisti avevano raggiunto l’obiettivo di cancellare l’operato dell’amministrazione socialista, ora non rimaneva che impossessarsi definitivamente della città. La caduta della giunta Giussani aveva provocato le dimissioni dalle proprie cariche di molti dirigenti “rossi” nominati alla guida delle istituzioni pubbliche della città dopo la vittoria elettorale dei socialisti alle amministrative del ’20. Due di questi enti, però, la Congregazione di Carità e gli Asili Infantili, erano ancora amministrati da persone “scomode” al fascio ed il Frigerio si rivolse al commissario prefettizio perché intervenisse al fine di rimuoverli. La lettera con cui il segretario politico delle camice nere interpellava il funzionario rimane uno degli esempi più emblematici della forza (e dell’arroganza) con cui i fascisti imponevano le proprie volontà:

PARTITO NAZIONALE FASCISTA
Sezione di Erba-Incino

Erba-Incino, lì 31 agosto 1923
Egr. sign. Commissario Prefettizio,
solamente ora vengo a sapere che a presiedere la Congregazione di Carità e gli Asili infantili vi sono due sovversivi noti per anti-italianità. Ora, questo è assurdo e non può andare coi tempi attuali. Io non so se è in facoltà della S.V. il poterli destituire o no!
La prego di informarmi in merito, perché possa regolarmi. Se non è legale destituirli e se non sentono quei messeri il pudore di dimettersi da una carica che non hanno diritto di ricoprire provvederà questo fascio ad agire di conseguenza.
Con osservanza
Il Segretario Politico

Due giorni dopo Antonio Pontiggia, presidente della Congregazione di Carità, ed Emilio Civati, membro del consiglio di amministrazione degli asili infantili, ricevettero l’ordine dalla prefettura di rassegnare le dimissioni dai propri incarichi, senza alcuna giustificazione. Al loro posto il commissario prefettizio nominò due fascisti così come gli era stato suggerito dal Frigerio. Anche la guida delle altre associazioni cittadine dipendenti dal municipio era stata assegnata ad elementi appartenenti alla sezione del fascio. Il direttorio non aveva fatto altro che presentare al commissario l’elenco delle persone prescelte e questi aveva proceduto alla loro nomina . Le camicie nere erano così entrate nei consigli di amministrazione delle associazioni caritatevoli, nel comitato sanitario, nel consorzio agrario, nel consiglio scolastico, nella commissione elettorale e in tutte le altre associazioni legate all’attività comunale. In questo modo i fascisti avevano ampliato fortemente la loro influenza sull’ apparato amministrativo della città ed avevano accresciuto la loro libertà d’azione. Nel corso del 1923 la sezione del fascio dedicò i propri sforzi ad attività che avevano l’obiettivo primario di guadagnarsi la fiducia della cittadinanza. Il 10 febbraio era stata aperta una sezione generale del Sindacato Nazionale per contrastare le leghe di mestiere socialiste che ancora contavano centinaia di iscritti . Nel marzo successivo il direttorio aveva dato vita ad una sorta di “ufficio di consulenza per gli affitti” che si proponeva di risolvere le questioni tra locatori ed inquilini. Il servizio ebbe un notevole successo. Nel frattempo continuava l’opera di “fascistizzazione” della città attraverso l’istituzione di quelle forme di aggregazione tipiche del movimento fascista. Nacquero così l’associazione dei giovani balilla e la sezione degli avanguardisti, dedicata ai ragazzi di età compresa tra i 16 e i 18 anni. I rispettivi gagliardetti vennero inaugurati ufficialmente il 27 maggio quando Erba accolse con tutti gli onori e le retoriche del caso i figli del Duce Bruno ed Edda Mussolini. La cerimonia richiamò le più alte autorità del partito da tutta la provincia e venne riportata dai periodici locali come una delle più solenni manifestazioni di stima della città verso il “suo” capo del governo. Il 1923 si chiuse con la consueta adunata di fine anno della sezione fascista nella quale il direttorio dava una relazione dettagliata delle opere compiute e delle iniziative per l’anno successivo. Il segretario politico Frigerio prese la parola per ultimo ed emblematicamente parlò ai propri camerati come avrebbe fatto un sindaco di fronte al proprio consiglio comunale: i fascisti si sentivano ormai parte integrante dell’amministrazione. Venne proposta la costruzione di un nuovo acquedotto, la realizzazione di un doppio binario sul tratto ferroviario Erba-Milano e una serie di interventi al fine di migliorare la viabilità della città. Per accelerare i lavori nacque
all’interno della sezione una commissione tecnica che avrebbe dovuto occuparsi dei nuovi progetti. Infine lo stesso Frigerio propose di affiancare al commissario prefettizio tre membri della sezione con l’obiettivo di “facilitarne e coadiuvarne l’operato”.

4.5 L’inizio della dittatura

La difficoltà tra le quali il fascismo tentava di incrementare l’adesione al partito nella provincia comasca fu testimoniata dall’esito delle elezioni politiche del 6 aprile 1924, le prime attuate con il nuovo sistema introdotto dalla legge Acerbo . La campagna elettorale era stata contrassegnata da violenze e intimidazioni fasciste in tutta la penisola, compiute spesso con la complicità delle forze dell’ordine. A livello nazionale la lista del fascio littorio, detta anche listone governativo, aveva ottenuto 4 305 936 voti ed ebbe eletti tutti i 356 candidati. I restanti 179 seggi furono spartiti tra popolari (39), socialisti unitari (24), massimalisti (22), comunisti (19), liberali (14) e repubblicani (7) . Nel collegio di Como tuttavia l’affermazione del “listone” non fu plebiscitaria. Gli astenuti furono 60.000, che, sommati alle 13.000 schede nulle, costituivano più di un terzo degli aventi diritto al voto; 42.000 voti andarono ai socialisti e 30.000 ai popolari, mentre il fascio littorio conquistò poco più di 51.000 suffragi. Le opposizioni nel loro complesso sorpassavano numericamente i fascisti. Con il delitto Matteotti il fascismo attraversò un momento di grande crisi, in seguito anche alla secessione dell’Aventino; ne uscì inasprendo le misure repressive nei confronti delle opposizioni. Iniziava in questo modo la dittatura: furono sciolti tutti i partiti, ad eccezione di quello fascista, fu ulteriormente limitata la libertà di stampa, soppresse definitivamente le autonomie locali ed istituita la figura del podestà di nomina prefettizia, abolito il diritto di sciopero e sciolti i sindacati. Nel comasco la prefettura ordinò la chiusura di tutti i circoli sospettati di essere centri di propaganda sovversiva e lo scioglimento delle leghe di mestiere, bianche o rosse che fossero. Alla fine del 1924 dell’organizzazione capillare costruita da socialisti e popolari all’indomani del conflitto mondiale non rimaneva che qualche cellula costretta ad agire nella più completa clandestinità. Diversi antifascisti vennero condannati al carcere o al confino, altri, come i comunisti, continuarono la loro azione negli scantinati delle abitazioni. La maggior parte accettò la nuova situazione, sperando in tempi migliori. I giornali d’opposizione furono sistematicamente costretti a chiudere: nell’ottobre del 1925 cessò le pubblicazioni “Il Lavoratore Comasco” e nel marzo del ’26 “La Vita del Popolo”. I periodici comunisti erano stati interdetti già nel corso del 1924. Nonostante la grande repressione scatenata dal Duce avesse sradicato ogni forza democratica dal territorio lariano, ancora il prefetto temeva per l’esito delle elezioni amministrative che si sarebbero dovute tenere nella provincia il 21 dicembre 1924. Per questo motivo le elezioni vennero annullate e nella maggior parte dei comuni comaschi vennero mantenuti in carica i commissari prefettizi nominati nel gennaio 1923. La situazione della provincia tuttavia andava sempre più normalizzandosi con quella del resto del paese. I fascisti avevano il pieno controllo di tutte le istituzioni, provinciali e comunali, e l’azione di propaganda cominciava a dare i suoi frutti anche tra la popolazione, da sempre restia ai grandi cambiamenti storici. Nel corso di soli due anni il territorio lariano era passato dal dominio del partito socialista alla supremazia assoluta del movimento fascista, un vero terremoto politico per una provincia che fino al 1920 era stata retta in maniera pressoché uniforme dalle forze moderate.

4.6 Il comune di Erba e gli anni della gestione straordinaria

Nel tumulto degli eventi che sconvolsero l’intera nazione negli anni del consolidamento del potere fascista il comune di Erba paradossalmente visse un periodo di tranquillità istituzionale iniziato con le dimissioni dell’amministrazione socialista il 29 gennaio 1923. Il commissario prefettizio proseguiva nella sua difficile opera di riduzione del disavanzo finanziario comunale sotto lo sguardo attento del fascio locale. Le sezione delle camicie nere era ormai divenuta di fatto il vero centro amministrativo della città. La chiusura della Camera del Lavoro e l’abolizione delle leghe di mestiere socialiste e cattoliche, che nell’erbese contavano centinaia di iscritti, aveva fatto confluire diversi lavoratori nel Sindacato Nazionale della città alla cui presidenza era stato nominato a gran voce il segretario politico del fascio Frigerio. Lo schema organizzativo dell’apparato fascista richiamava quello dei socialisti che nei due anni di amministrazione avevano monopolizzato la struttura associativa del comune. Al posto della Lega dei Comuni Socialisti era nata la Federazione Provinciale Comasca degli Enti Autarchici, ente che si prefiggeva di “…rendere più agevole, più spedita, più rispondente alle direttive del Governo Nazionale e all’interesse generale della Nazione, l’attività amministrativa dei singoli organi locali, assistendoli nell’applicazione del loro mandato. ” La sezione cittadina del fascio offriva alla popolazione consulenze in materia di assunzione, affitti e versamento delle tasse. Un apposito ufficio riceveva nella domenica le lamentele relative all’amministrazione e si preoccupava di farle pervenire direttamente al commissario prefettizio. Erano state costituite le associazioni giovanili dei balilla e degli avanguardisti, così come quelle riservate agli adulti. Agli iscritti e simpatizzanti del partito veniva infine offerta l’utilizzo gratuito della biblioteca curata dal direttorio. A fronte di queste iniziative la popolazione si adeguò ben presto alla causa fascista, seppur con un atteggiamento di passiva partecipazione. E’ molto probabile che la maggior parte di coloro che passarono nelle file del nuovo partito fossero indotti più da considerazioni di tornaconto personale che da una reale convinzione negli ideali fascisti. Tutta la vita sociale di Erba era infatti monopolizzata dalla sezione delle camice nere. Congressi, manifestazioni sportive, rappresentazioni teatrali ed iniziative tra le più disparate venivano organizzate solo con l’approvazione del fascio cittadino e divenivano spesso e volentieri occasioni di propaganda e adulazione del regime. Una tappa importante nell’opera di fascistizzazione della città fu raggiunta con l’assegnazione al duce della cittadinanza onoraria del comune di Erba. Questa la lettera con la quale il Frigerio chiedeva al commissario prefettizio di rendere onore al capo del governo :
Ill.mo Commissario Prefettizio di Erba Incino.

Ci permettiamo di fare istanza perché anche a Erba Incino (rinnovata dallo Spirito dell’Italia Nuova), dia al magnifico Duce che ha salvato l’Italia dal baratro in cui stava cadendo, a Benito Mussolini, Capo del Governo Nazionale, Artefice massimo della Redenzione e della Salvezza d’Italia, Gloria e Vanto della Patria, nell’Anniversario dell’entrata dell’Italia nella grande guerra europea, la Cittadinanza Onoraria.
E’ il segno di devozione, di riconoscimento, di dedizione della Popolazione Erbaincinese tutta all’Uomo che porterà la Patria alla Grandezza impostale dalla millenaria storia. Così anche la nostra patriottica borgata avrà adempiuto un sacrosanto dovere.

La richiesta fu naturalmente accordata con grande compiacimento di tutti i fascisti. Il 13 febbraio 1925 il commissario prefettizio Ceccato venne trasferito nella città di Capodistria, dove avrebbe ricoperto la carica di vice podestà. A reggere le sorti del comune fu quindi nominato dalla prefettura un nuovo commissario, il Cav. Bartolomeo Donati. Il nuovo amministratore proseguì l’opera del suo predecessore, lasciando al fascio piena libertà di manovra. Il debito delle casse comunali andava lentamente riducendosi e al nuovo commissario non restò che seguire le precise direttive che giungevano dal direttorio fascista. Questo il decreto con il quale venne nominato il nuovo amministratore temporaneo del Comune di Erba:

N. 9349/2 Div.2° Como 14 febbraio 1925

IL PREFETTO
della Provincia di Como
Veduto il proprio Decreto 30 Gennaio 1923 col quale venne nominato il cav. Dott. Vittorio Ceccato consiliare presso questa Prefettura Commissario Prefettizio per la provvisoria amministrazione del Comune di Erba-Incino;
Ritenuto che col trasferimento ad altra sede del Cav. Ceccato occorre provvedere alla sua sostituzione nell’incarico di cui sopra;
Veduto l’art. 3 della Legge Comunale e Provinciale T.U.4 febbraio 1925 n° 148 modificato con R.D. 30 dicembre 1923 n° 2839
DECRETA
Il cav. Bartolomeo Donati è nominato Commissario Prefettizio per la provvisoria amministrazione del Comune di Erba-Incino.
Al predetto Commissario verrà corrisposta l’indennità di lire 30 gravata dell’imposta di R.M. per ogni giorno di effettiva presenza nel Comune oltre il rimborso delle spese di viaggio da liquidarsi a norma di Legge.

IL PREFETTO


4.7 La nomina del podestà

Nel periodo in cui l’amministrazione del comune di Erba venne retta dai commissari prefettizi (30 gennaio 1923 - 12 luglio 1926), il fascio locale aveva portato avanti diverse iniziative intraprese con il benestare degli stessi commissari. Il 1926 si aprì per la città con una grande assemblea generale della sezione fascista cui parteciparono quasi tutti i 250 iscritti. Il segretario politico lesse la relazione sull’attività organizzativa-assistenziale, politica e sindacale. Per quanto riguardava il primo punto il Frigerio si disse orgoglioso dell’organizzazione giovanile e del funzionamento del gruppo balilla, promettendo per il futuro una serie di incentivi al fine di creare degnamente le “future camice nere”. Si compiacque successivamente del fatto che la sezione fosse ormai divenuta un organo amministrativo che collaborava con il commissario prefettizio e che la popolazione avesse accettato di buon grado la nuova situazione. Tra le opere realizzate dal fascio nel corso dei tre anni precedenti il Frigerio ricordò la costruzione del campo di calcio comunale, del campo ippico con relativo concorso, del teatro all’aperto, la riorganizzazione del sistema postale e degli orari ferroviari, lo smaltimento del traffico, la pulizia delle strade e la degna organizzazione di tutte le manifestazioni pubbliche della città, dalle cerimonie per la commemorazione del 24 maggio e del 4 novembre alla celebrazione della marcia su Roma. Rammentò per i più diffidenti che la sezione non aveva mai subito richiami dagli organi superiori e che la collaborazione con le forze dell’ordine, in special modo con la caserma dei carabinieri di Erba, era frutto della reciproca stima. Per ultimo aggiunse che l’attività sindacale fascista era una delle più intense della zona avendo aperto una serie di corporazioni che ormai tutelavano ogni lavoratore. Al termine del discorso, dopo i consueti alalà in onore del duce, il segretario politico si augurò che fosse risolta una volta per tutte la questione dell’amministrazione comunale: era tempo che la città fosse governata dai “suoi” fascisti. Non dovette attendere molto. Nel giugno successivo la prefettura consultò tutte le sezioni dei fasci locali sparse nel territorio e le varie caserme dei carabinieri: il prefetto aveva ricevuto l’ordine di affidare ai podestà la reggenza dei comuni comaschi e l’operazione era da concludersi entro luglio. La scelta per il Comune di Erba ricadde naturalmente sul Frigerio: egli incarnava la figura del fascista esemplare. Era uno dei fondatori del fascio locale di cui era divenuto segretario politico con la nascita della sezione. Nel 1924 era entrato a far parte della federazione provinciale fascista nella quale ricopriva il ruolo di commissario di zona per il territorio erbese. Il suo nome compariva nei consigli di amministrazione della maggior parte delle associazioni nate negli ultimi anni, sportive, sindacali o assistenziali che fossero. Dal 1920, quando con il Tarabini fondò la Temeritas, si occupava della città e dei suoi problemi. Con queste referenze la carica di podestà non poteva che essere affidata a lui. Il 12 luglio 1926 Piero Frigerio, con altri quattrocento podestà, giurò fedeltà al Re, al Duce e alla Patria davanti al prefetto di Como. Nei giorni successivi pervennero all’ufficio comunale decine di lettere di auguri e congratulazione al nuovo amministratore. Una di queste lettere era firmata “Don Giuseppe Castoldi”, il prevosto che nei primi anni venti era stato alla guida del partito popolare erbese :

Carissimo Cav. Piero Frigerio 18 Luglio 1926
Podestà di Erba-Incino
Riconoscentissimo della compitezza usatami colla tua carissima 16-7-1926, come già a voce, ti rinnovo le mie più cordiali congratulazioni per l’alta carica alla quale fosti elevato. Grandemente godo delle disposizioni dell’animo tuo nello svolgere l’opera a te affidata; sta fermo ai fondamentali principi da te accennati: Religione, Patria e Famiglia, e da buon italiano cattolico compirai coscienziosamente, e quindi lodevolmente, il dovere tuo.
E’ inutile dirti, perché tu abbastanza mi conosci, come io abbastanza conosco te, che ardentemente desidero, e direi quasi voglio, che continui siano i buoni e vicendevoli rapporti tra l’Ecclesiastica e Civile Autorità, perché da esse proviene il bene che dobbiamo procurare all’amato nostro Paese.
Che Iddio ti illumini e ti guidi.
Caramente salutandoti, abbimi sempre.
Tuo Affez.mo
Prev.D.Giuseppe Castoldi
Una settimana dopo la nomina ufficiale a podestà del comune di Erba il Frigerio pronunciò il suo discorso inaugurale davanti ad una folla che gremiva il salone del palazzo municipale. La stampa fascista commentò l’evento utilizzando la solita retorica. Il Gagliardetto rimarcò in particolare l’atteggiamento delle 250 camicie nere, la sezione al completo, presenti tra il pubblico, strette intorno al proprio capo ed inquadrate come una formazione militare . La maggior parte dei militanti, sempre secondo il periodico dei fasci, aveva il viso cosparso di lacrime. Naturalmente nessuno osò scrivere che trenta di quelle camicie nere, poco più di tre anni prima, nello stesso salone municipale minacciavano di morte il sindaco Giussani impugnando il fatidico manganello.
Il primo discorso del podestà venne stampato e distribuito alla popolazione perché si conservasse il ricordo di quel momento solenne. Dopo l’esperienza socialista e tre anni di amministrazione straordinaria con i commissari prefettizi il comune di Erba, con la nomina del podestà, perdeva definitivamente la possibilità di eleggere democraticamente i propri amministratori. Da quel momento, fino al termine del secondo conflitto mondiale, il municipio verrà retto da una sola persona, legata indissolubilmente al regime fascista. Questo il discorso inaugurale del primo podestà del comune di Erba, Piero Frigerio:

“ Fascisti,
la cerimonia che ho voluto fare stasera in questo locale municipale, invitando il mio amatissimo Capo e tutti i miei Camerati valorosi ai quali mi legano sentimenti di fraterna colleganza, ha un significato grande. Ho voluto che a questa Cerimonia di consegna ufficiale fossero presenti tutti i miei Fascisti, non per dimostrare alla cittadinanza che oramai il Fascismo dirige e d impera in tutti i gangli della vita e della cosa pubblica; non ve n’è bisogno.
Il Fascismo, ed in special modo quello Erbaincinese, da tempo ha acquistato pacificamente la supremazia morale, il prestigio indiscutibile, per cui nulla si può senza o contro il Fascismo. Ho voluto riunirvi qui in questa occasione perché voglio che il mio orgoglio sia anche il vostro, perché la mia gioia sia pure la vostra; perché la immane responsabilità che mi sono assunto vi faccia pensare che sia anche la vostra, perché, infine, anche attraverso l’ esplicazione della mia nuova attività, voglio avere il conforto ed il controllo, l’ aiuto e la serena critica dei miei gregari verso i quali intendo rispondere sia come Podestà, sia come segretario del Fascio.
I bolscevichi hanno settariamente amministrato il Comune e l’ hanno condotto allo sfacelo. Il deficit era disastroso, quasi incolmabile. Il Cav. Donati, al quale vi invito a tributare un plauso sincero e meritatissimo, ha fatto moltissimo come pochi avrebbero potuto fare, ma ancora molto bisogna fare. Erba-Incino ha bisogno di un rinnovamento radicale; rinnovamento di coscienze e di anime; rinnovamento di opere. Il mio programma è innanzitutto realizzabile e poi concretato e studiato da tempo.
Voglio:
1°- Il bilancio annuale solido;
2°- Sistemare nel miglior modo possibile i servizi pubblici: uffici comunali, acqua potabile, servizi manutenzione strade, cimitero, mercato, sorveglianza comunale, ecc.;
3°- Mettere le associazioni di pubblica assistenza in condizione di poter funzionare in modo migliore. Alla Croce Verde, ed al Corpo Pompieri dedicherò tutta la mia attenzione e tutto l’ aiuto possibile;
4°- Portare urgentemente a termine il Monumento ai Caduti ;
5°- Migliorare esteticamente il Comune in tutte le sue costruzioni;
6°- Studiare e risolvere il problema stradale previ accordi colla Società Volta per la linea tramviaria, coll’ Amministrazione Provinciale per la via principale, coi proprietari terrieri per le nuove strade che daranno comodità e possibilità edilizie al paese.
Infine tutti i problemi di una più grande Erba-Incino, da quello tramviario a quello ferroviario; tutte insomma le necessità pubbliche, saranno affrontate energicamente, con prudente studio, ma con coraggio Fascista. Credo così di assolvere al mio compito di Fascista, di vostro capo. La popolazione avrà in me il consigliere, il padre, ma anche l’inflessibile tutore delle Leggi del Governo Fascista.
Chiedervi collaborazione è superfluo, i miei vecchi fascisti e anche i nuovi sono consci che se io non dovessi portare a termine l’opera che mi sono prefisso, lo smacco sarebbe non mio, ma del Fascismo locale.
Io sono qui in quanto vi rappresento. E’ il Fascismo di Erba, dalle intrepide camice nere della Temeritas ai nuovi, da coloro che vissero momenti di abbandono e di eroismo, di sacrificio e di indomita fede, a coloro che sono venuti a rinforzare il nostro esercito immenso che assume la reggenza del Comune. Il nostro amore per l’ incantevole nostro Comune, la nostra fede, la nostra attività, lo spirito nuovo che ci pervade ci darà la forza di portare tutto a compimento.
E avanti; è il Fascismo di Roma, è il Fascismo meraviglioso che ha salvato l’ Italia ed i suoi comuni, che marcia inesorabilmente verso le più alte vette. Fascisti! Come in una notte buia e piovigginosa alla presenza del capo di allora, di adesso e di sempre, io e uno sparuto numero di fascisti, facce ardite e legionarie, virili e buone che vedo tra voi, giuravo con loro di tutto dare al Fascismo e alla Patria e mantenni il giuramento: oggi ripeto di fronte a voi che rappresentate il popolo tutto che la mia attività, la mia modesta capacità, non avrà obbiettivo che potenziare il Fascismo nel senso che attraverso una oculata, ma fattiva opera di ricostruzione, di rinnovamento, di equità, il popolo debba comprendere che la fiamma che ci anima è la sola che porta l’ Italia e tutti gli Italiani verso una radiosa prosperità.

Il podestà di Erba
Piero Frigerio